La formazione monastica oggi
(1a parte)
Estratto del Bollettino dell’AIM • 2020 - N° 119
Riepilogo
Editorial
Dom Jean-Pierre Longeat, OSB
Presidente dell’AIM
Lectio divina
Le Beatitudini
Madre Anna Chiara Meli, OCSO
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Prospettive
• Formazione teologica e rinnovamento monastico
Dom Bernhard A. Eckerstorfer, OSB
• Experientia
Dom Eamon Fitzgerald, OCSO
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• La vita monastica dopo Covidio19
Padre Robert Igo, OSB
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• Il discernimento vocazionale secondo la Regola di san Benedetto
Dom Bernardo Olivera, OCSO
• La formazione dei benedettini e delle benedettine nella Corea del Sud
Suor Marie-Enosh Cho, OSB
• Monastic Formator's Programme
Père Brendan Thomas, OSB
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• Formazione per formatori nei monasteri del Madagascar e dell'Oceano Indiano
Suor Agnès Bruyère, OCSO
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• La Struttura Sant’Anna
Dom Olivier-Marie Sarr, OSB
• Wisdom Connections T4
Suor Michelle Sinkhorn, OSB
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Meditazione
Estratto del discorso al Collegio des Bernardins (Parigi, 2008)
Benedetto XVI
Lavoro e vita monastica
L’economia monastica come motore di cambiamento
Isabelle Jonveaux
Arte e cultura
Il nuovo monastero di Envigado
Dom Guillermo Arboleda, OSB
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Une pagina di storia
Le suore benedettine missionaire di Tutzing
Dal sito web della Congregazione di Tutzing
Monaci e monache, testimoni per il nostro tempo
• Madre Bénigne Moreau
Madre M.-M. Caseau et S. L. de Seilhac, OSB
• Dom Basílio Penido
P. Matias Fonseca de Medeiros, OSB
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- Il Segretariato dell'AIM
Dom Jean-Pierre Longeat, OSB
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- I miei anni all'AIM
Madre M.-Placido Dolores, OSB
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- Viaggio in Argentina (continuazione e fine)
Dom Jean-Pierre Longeat, OSB
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Editoriale
Per l’AIM è quanto mai importante fare regolar- mente il punto sulle proposte di formazione monastica attivate nei vari monasteri del mondo. Inevitabilmente
queste proposte evolvono in relazione allo sviluppo e alle iniziative dei monasteri in ciascuna regione.
Le iniziative sono numerose. Per questo ci è sembrato utile, per dare uno spazio appropriato a questo tema così importante, dedicare due numeri del Bollettino: il 119 e il 120. Se leggendo questo Bollet- tino, ci fosse qualcuno o qualcuna che volesse aggiungere qualche informazione a riguardo di progetti inerenti alla formazione, non esiti a scriverci. Da parte nostra, troveremo il modo per aggiungere questi contributi nel Bollettino 120.
La formazione di cui parleremo in queste pagine riguarda soprat- tutto la vita monastica in quanto tale e le condizioni necessarie perché sia attuale e possa svilupparsi adeguatamente. La questione degli studi di filosofia, teologia e delle specializzazioni universitarie potranno essere affrontati a parte: non entrano, infatti, direttamente in quello che è l’approccio di questi due numeri del Bollettino.
Per quanto riguarda la formazione iniziale, ogni comunità deve assumere la sua parte di responsabilità. Perciò, proprio come viene ricordato nel documento «“Miroir” - Uno specchio della vita monastica per l’oggi», è la comunità in quanto tale ad essere la prima formatrice. Nondimeno, è importante allargare l’orizzonte dei fratelli e sorelle delle comunità con dei tempi di formazione permanente. Inoltre, bisogna vigilare affinché ogni comunità sia capace di suscitare e formare dei responsabili.
Gli Ordini, Congregazioni e Regioni monastiche propongono delle iniziative proprie sia a livello di inter-noviziato che di sessioni per giovani professi, per formatori, per superiori e per i vari responsabili.
San Benedetto, nella Regola, afferma di voler istituire una scuola del servizio del Signore. Si tratta di un progetto evocatore. Siamo tutti invitati a rimanere in un atteggiamento di ascolto attraverso uno scambio di conoscenze e di esperienze che dura tutta la vita. A partire da un’altra immagine usata da san Benedetto, la formazione si acquisisce nel quadro di una sorta di milizia fraterna (cap. 1) dove si esercitano a pieno la reciprocità, le tensioni, gli incoraggiamenti, la lotta condivisa contro tutti gli ostacoli che si presentano. Il tutto in vista di una vera conversione per vivere il comandamento dell’amore. Questa formazione viene esercitata in un laboratorio (cap. 4) dove si impara a fare uso di quegli strumenti spirituali che vengono messi a disposizione di tutti.
La prospettiva propria di una formazione monastica tende a dare la possibilità ai fratelli e alle sorelle delle nostre comunità di speri- mentare il cammino che ci conduce, tutti insieme, verso la vita vera, secondo l’ispirazione dell’amore di Dio. Così, «sotto la guida del Vangelo» e «senza allontanarci mai dal suo insegnamento e vivendo nel monastero saldi nella sua dottrina fino alla morte, parteciperemo, mediante la pazienza, alla passione di Cristo, per arrivare ad avere parte con lui nel suo Regno» (cf. Prologo e cap. 72).
La magna charta delle Beatitudini, con cui si apre il Vangelo secondo Matteo, è una magnifica illustrazione di ciò che si propone la formazione monastica.
Dom Jean-Pierre Longeat, OSB
Presidente dell’AIM
Articoli
Le Beatitudini
1
Lectio divina
Madre Anna Chiara Meli, OCSO
Priora de Mvanda (RDC)
Le Beatitudini,
carta della formazione monastica
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Formazione teologica e rinnovamento monastico
2
Prospettive
Dom Bernhard A. Eckerstorfer, OSB
Rettore dell’Ateneo Sant’Anselmo, Roma
Formazione teologica
e rinnovamento monastico
A leggere le nuove pubblicazioni teologiche e monastiche colpisce constatare che una gran parte di esse nota le sfide del nostro tempo. Non c’è dubbio che siamo messi di fronte a un cambiamento che per molti è anche una svolta verso una nuova epoca. Come la Chiesa nel suo insieme, anche i monasteri si sforzano di inventare vie nuove per il futuro. La loro ricerca diventa particolarmente urgente quando da esse dipende la sopravvivenza di una comunità. In questa prospettiva le questioni di formazione per i benedettini sono di grande attualità e per questo fatto sono esplosive. Mostrano se e come può riuscire il rinnovamento monastico.
Il presente numero dell’AIM usa la parola chiave “oggi” per presentare la sua tematica sulla formazione. La formazione monastica si è evidentemente sempre sforzata di trasmettere la vita benedettina in una coscienza sveglia della realtà di ogni epoca. Certamente, un tempo ci fu un modello unico, considerato come durevole su periodi più lunghi perché i modelli di Chiesa e di società duravano essi stessi per diverse generazioni. Invece la nostra situazione attuale è molto confusa. Nel centro esatto di un cambiamento d’epoca, cose che erano prima evidenti non lo sono ormai più; ma i nuovi paradigmi non si sono ancora imposti, nessuno sa a cosa somiglierà il futuro. Tutti abbiamo il presentimento che bisogna assolutamente impegnarsi su vie nuove. Ma quali di queste vie saranno in grado di aprire nuovi orizzonti ?
Nella situazione attuale sono convinto che la teologia sia un fattore decisivo per la formazione dei benedettini e il nuovo orienta- mento delle nostre comunità. Ma bisogna tener presente anche l’altro risvolto: il monachesimo potrà a sua volta giocare un ruolo impor- tante nel rinnovamento della teologia. Come nella vita politica sociale e culturale, dove si constata un disorientamento se non proprio una rottura con le antiche istituzioni e i modi di pensare fino a questo momento globalmente ben accetti, così avviene una transizione nella Chiesa e nella teologia. In questo campo la parola crisi è su tutte le labbra. L’etimologia del vocabolo può assumere un ruolo di rivela- tore per il nostro argomento: crisis significa un discernimento e una decisione e li reclama entrambi.
Vorrei trattare l’argomento che mi è stato chiesto in tre punti. Abborderò in primo luogo l’iniziazione monastica, il suo senso e le forme che essa assume. Maestro dei novizi per dodici anni ho speri- mentato io stesso nel corso della mia carriera la necessità di inizia- zioni fondamentali. Vorrei poi rileggere la pratica monastica come un luogo teologico. Infine vorrei presentare il ruolo dell’università nel rinnovamento della vita benedettina.
La formazione monastica come processo teologico
Nei monasteri appunto, vediamo che la trasmissione della fede avviene essenzialmente con la pratica di un certo stile di vita. Fin tanto che siamo in una società religiosa omogenea, i suoi punti di vista, i suoi usi e costumi sono considerati come qualcosa che va da sé dal momento che sono sostenuti e condivisi dalla maggioranza. A partire dal momento in cui entriamo in un mondo pluralista, dove la fede non è che un’opzione tra le altre, dobbiamo condurre una rifles- sione sugli atti che erano posti fino a quel momento in modo automa- tico, per non perderli, ma tradurli in altra forma in modo che siano compresi nel contesto attuale.
Quando qualcuno entra in monastero inizia un complesso processo di apprendistato. Integrati in pratiche comunitarie molti elementi sono acquisiti consapevolmente nel corso dei primi anni; consapevolmente vuol dire riflessi e dunque messi in questione. Questo lavoro è importante per appropriarsi dei modi di fare che sono radicati nella comunità. Ed è così che con l’ingresso in comunità di ogni nuovo membro, la vita monastica si rinnova, attualizzata nel processo di appropriazione comunitaria e individuale, vivificata dal sentimento di vivere nell’oggi. Così essa si mantiene viva.
L’introduzione alla vita benedettina è un processo teologico. Il monachesimo ha sempre compreso il monaco come un cercatore di Dio, uno che cerca un modo di pensare che sia appropriato al suo modo di vivere. Per essere teologo nel senso originario del termine non è necessario fare un dottorato in teologia. Sono le persone spiritual- mente competenti che conducono una vita “teologica” e che vi intro- ducono gli altri. Vorrei illustrare con una testimonianza personale come sia essenziale l’iniziazione di base. Sono entrato in monastero a 29 anni, dopo lunghi studi al mio paese e all’estero. Il Padre Abate e il maestro dei novizi mi hanno detto: «Hai già un dottorato in teolo- gia. Cosa potremmo ancora insegnarti ?». Pensavano che avrei potuto senza difficoltà servire una messa pontificale. Ora, io non ero mai stato in un coro, non mi era mai stato insegnato nulla delle cerimo- nie pontificali lungo il mio corso di teologia protestante in America del Nord. Ero dunque molto più sprovveduto e maldestro del mio co-novizio, passato direttamente dalla scuola monastica al noviziato.
Il mio monastero aveva sopravvalutato l’importanza dei miei studi universitari; aveva invece sottovalutato la necessità di un’iniziazione monastica per un giovane teologo. Questa iniziazione avviene soprattutto per osmosi. In tutti i monasteri ci sono dei fratelli o delle sorelle anziane che conducono fedelmente la loro vita per decenni. Essendo spiritualmente ben formati, diventano dei modelli per la generazione successiva, più per ciò che sono che per ciò che fanno, più per il loro essere che per dei discorsi. Quando ripenso ai miei primi anni monastici, erano loro i miei maestri, ivi compresi l’abate e il maestro dei novizi summenzionati, loro che non si consideravano come dei grandi teologi. Certamente ho dapprima dovuto imparare quale era la mia nuova identità ; ho dovuto comprenderla con la riflessione. Durante il mio noviziato mi è stato dato di poter leggere, tra gli altri testi di base, una buona parte delle opere del mio nuovo santo patrono, Bernardo di Chiaravalle. Fu una nuova esperienza di apprendimento! Potevo gustare la lettura senza avere la pressione di dover valorizzare quel che avevo letto in esami o compiti accademici. Nemmeno imparare a leggere i grandi testi del monachesimo e la storia della spiritualità fu immediato per me. Fu una benedizione che proprio dopo il noviziato io fossi inviato a Sant’Anselmo per due anni, là dove già più di cento dei miei fratelli avevano studiato per decenni. Il Credo del nostro Abate all’epoca era : «Ognuno dei fratelli dovrebbe avere la possibilità, se lo desidera, di passare almeno un semestre a Sant’Anselmo».
A Roma ho incontrato una teologia per me nuova : di colpo mi ritrovavo a pregare e mangiare con i professori e gli studenti. Ecco il segreto della formazione dei benedettini: il modo di vivere e il modo di pensare si interpenetrano. Tuttavia la riflessione teologica sulla vita benedettina era in primo piano. Mi divenne accessibile attraverso alcuni corsi ma più ancora per l’attenzione personale di teologi benedettini che mi hanno aiutato a integrare la mia forma- zione teologica antecedente nella mia vita monastica. È precisamente questa mescolanza tra uno stile di vita concreto e una comprensione più profonda che caratterizza la vita monastica. Questa mescolanza non può resistere alle esigenze dell’epoca attuale se è smembrata in differenti settori senza rapporto gli uni con gli altri.
Poco prima della mia professione solenne ho attraversato una crisi. Improvvisamente mi hanno attirato altri modi di vivere, ebbi l’impres- sione che i miei quattro anni da monaco erano un’esperienza arrivata al suo termine. Col tempo ho preso coscienza che la mia decisione di impegnarmi con la professione perpetua fu dovuta in gran parte alla riflessione teologica che ho potuto condurre sul mio nuovo genere di vita, ivi compresi i contatti che avevo potuto stringere con il monache- simo mondiale, specialmente durante i due anni a Sant’Anselmo.
L’esercizio concreto della pratica monastica
Il germe di un rinnovamento benedettino si trova nelle prati- che monastiche che bisogna ri-scoprire, comprendere di nuovo, e mettere in atto in modo attualizzato. La formazione monastica non serve a niente quando presuppone troppo. Nulla scorre più diret- tamente dalla sorgente quando si tratta dei giovani nelle nostre comunità. Partiamo dalle cose più elementari: le esperienze che ci sembrano banali nella vita quotidiana devono essere ripensate. Che atteggiamenti assumiamo? Quali sono i ritmi e le strutture che ci procurano stabilità? Conviene non soltanto imitare il genere di vita monastica, ma riafferrarlo dall’interno e – di conseguenza – metterlo in questione e infine modificarlo; si dirà anche: trasformarlo. Per fare questo occorre mettere in atto una mistagogia delle pratiche monasti- che nella quale dispiegare gli elementi fondamentali nella loro ricca tradizione – ma anche trasferirli nel nostro mondo contempora- neo: stabilitas e conversatio, la piccola cella monastica e l’ampia cinta claustrale, la lettura e l’autodisciplina, la solitudine e la comunità, ecc.
Un punto del tutto essenziale da acquisire è l’apprendimento di un nuovo modo di leggere. È impossibile prevedere su scala mondiale l’impatto della rivoluzione digitale sulle nostre civilizzazioni e il cambiamento che essa produrrà nelle nostre società. Essa può offrire al monachesimo nuove possibilità. Tuttavia non tappiamoci gli occhi sul fatto che essa impone un approccio della realtà estraneo allo spirito benedettino. I media riposano su messaggi concisi, provvisti di segni e di abbreviazioni che rimangono attuali per un breve lasso di tempo e l’accesso ai quali è temporaneo. L’apertura digitale al mondo non è in sintonia né con il processo della riflessione e la redazione laboriosa di scritti accuratamente costruiti, né con la cultura libresca tradizionale. Ma i monasteri possono farne a meno?
Nella lectio i giovani fratelli e sorelle acquisiscono non soltanto delle conoscenze religiose, ma anche una competenza teologica : poter passare un’ora, o almeno una mezz’ora del proprio tempo esclusivamente a leggere ogni giorno, e questo durante mesi e anni! Nella meditatio la lettura si sedimenta e si muta in sapienza. Sapientia viene da sàpere che si può tradurre con “gustare” o “assaporare”. È il fondamento dell’oratio. Ma quanta pazienza e perseveranza ci vuole per raggiungerlo, proprio nel nostro mondo tecnologico così perfor- mante! L’insegnamento in noviziato deve incoraggiare la lettura di testi teologici che dovranno essere in seguito discussi. In questa condivisione non si darà immediatamente il proprio parere; bisogna prima aver ben compreso il testo: “Cosa dice l’autore?”.
La formazione monastica deve permettere una comprensione più profonda della realtà e stabilire il legame tra la lettura costante di frammenti di testo e un’esperienza di lettura olistica. Forse è un segno della viabilità futura dei nostri monasteri: la biblioteca è ancora un luogo di vita, oppure degenera in un luogo di stockaggio, divenuta nel migliore dei casi una sala di esposizione del passato trascorso di una ricerca viva di Dio? Una missione teologica del monachesimo oggi non sarebbe essenzialmente quella di far rinascere la cultura della lettura? Non sarebbe la prima volta che i monasteri sarebbero dei vettori-trasmettitori di civilizzazione.
Dal monastero all’università e viceversa
Oggi più che nel passato constatiamo che i candidati hanno bisogno di un’iniziazione alla fede. Il monaco si forma esercitandosi a comprendere e ad assaporare la lettura e nello scoprire tutto un universo di significato religioso. Un professore di teologia sperimen- tato di un’università di stato mi diceva un giorno: «Quelli che hanno fatto un noviziato studiano in modo diverso da noi». Ma devo dire che, almeno secondo la mia esperienza nell’Europa centrale, alcuni di quelli che entrano nei nostri monasteri hanno un’avversione per la teologia universitaria. Questo probabilmente viene da una parte da una riduzione scientifica, quando la teologia è studiata come una scienza senza un sufficiente rapporto con la fede vissuta. Ma d’altra parte questo rivela anche la mancanza di coscienza di ciò che la teologia accademica può e deve fare per i nostri monasteri.
L’insegnamento e la ricerca teologica all’università, anche in dialogo con altre discipline, offre il suo proprio quadro per la pratica e la riflessione descritte sopra. Dopo aver trascorso vent’anni nel mio monastero in Austria, ritrovo a Sant’Anselmo la libertà offerta dal quadro accademico, nel quale gli studi sono prioritari, ma non separati dalla vita spirituale. Così gli studenti possono consacrarsi a una specializzazione in filosofia, teologia e/o liturgia facendo nel contempo fruttificare i loro altri punti di interesse. La crisi del Corona ci ha mostrato come la missione educativa può essere realizzata anche con l’espediente delle nuove tecnologie. Certamente perseguiamo l’insegnamento diretto che include una discussione personale in loco e che fa splendere la città di Roma in particolare, e in essa, la Chiesa universale, come un’esperienza teologica. Tuttavia allarghiamo sempre più le nostre proposte di corsi on-line, per aprire alle persone che non possono venire nella Città Eterna una partecipazione all’insegna- mento e alla ricerca di Sant’Anselmo.
Non bisognerebbe sottovalutare il lavoro degli Istituti religiosi o facoltà di teologia statali, che contribuisce a vivificare e a rendere plausibile la nostra esistenza benedettina. Da quanto vedo le nuove fondazioni monastiche vanno insieme a una rielaborazione teologica che affonda le sue radici essenzialmente alle fonti del monachesimo; come l’aveva previsto il Vaticano II: un ritorno alle fonti (ressource- ment) combinato con la ricerca di modalità adatte alle condizioni attuali (aggiornamento). La teologia scientifica può apportare in questo campo un contributo più grande. La fede, vissuta così come si esprime nelle pratiche monastiche, ha bisogno di una riflessione critica e della presentazione della ricchezza della Tradizione a misura del nostro tempo. Questo proteggerà i nostri monasteri dall’unilate- ralismo, dal devozionismo e dalle ideologie di ogni genere.
I monasteri ricchi della loro tradizione teologica hanno anche molto da dire al mondo universitario di oggi. Il decano di una facoltà di teologia di una università di stato ha recentemente dichiarato di rimpiangere che la teologia universitaria sia appena notata nella società e nella cultura di oggi. Vediamo, però, che il mondo laico è evidentemente interessato dalla testimonianza vissuta della fede. Quando si pratica la teologia come una forma ispirata dall’esperienza della fede e l’espressione di una liturgia viva, allora le altre discipline (accademiche) cominciano a interessarsi a essa e lo fanno anche le persone che sono alla ricerca di alternative convincenti. Almeno per l’Europa centrale posso testimoniare che al di là di tutte le crisi che toccano attualmente la Chiesa e il suo tradizionale lavoro pastorale, da cui i monasteri non sono esclusi, l’interesse per la vita benedettina è grande e costante, tanto tra i credenti quanto fra gli scettici. Essi trovano nei monasteri la realizzazione delle loro aspirazioni a una “vita alternativa” e amerebbero ispirarsi alla ricchezza e alla potenza spirituale delle antiche tradizioni. Questo dovrebbe incoraggiarci, nei nostri monasteri, ad adattare il nostro genere di vita benedettina a un modo di pensare adeguato, dal noviziato fino ai più alti luoghi di formazione religiosa. Il monachesimo potrebbe così contribuire a una teologia rinnovata, al cuore di una Chiesa missionaria che, secondo Papa Francesco, non potrebbe contare unicamente sugli esperti delle università di teologia e sui burocrati dell’organizzazione ecclesiale.

Experientia, un'esperienza di formazione continua
3
Prospettive
Dom Eamon Fitzgerald, Abate Generale
Ordine Cistercense della Stretta Osservanza
Experientia,
un’esperienza di formazione continua[1]
Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.
La vita monastica dopo Covidio19
4
Prospettive
Padre Robert Igo, OSB
Priore dei Christ of the Word, (Macheke, Zimbabwe)
La vita monastica dopo Covidio19
Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.
Il discernimento vocazionale secondo la Regola di san Benedetto
5
Prospettive
Dom Bernardo Olivera, OCSO
Abate generale emerito dei Trappisti
Il discernimento vocazionale
secondo la Regola di san Benedetto
Questo intervento[1] di Dom Olivera sulla formazione iniziale ci è parso molto utile per il suo approccio assai concreto, a partire da ciò che prevede san Benedetto nella sua Regola.
L’abbondanza come la mancanza di vocazioni sono, generalmente, due segnali che evidenziano l’impor- tanza del discernimento. La mancanza di vocazioni spesso spinge a correre il rischio sconsiderato di andare a caccia di candidati; l’abbondanza di vocazioni porta a non passare sufficiente- mente al vaglio il raccolto.
Propongo di consultare l’insegnamento di san Benedetto così com’è contenuto nella Regola : questo insegnamento abbraccia il tempo che va dal momento immediatamente precedente all’ingresso in monastero fino alla professione.
San Benedetto aveva certamente il carisma del discernimento degli spiriti, tuttavia, quando di tratta di vocazioni il suo è un approc- cio assai pratico: si basa su ciò che si vede ed è riscontrabile. Ecco quattro criteri specifici e generali offerti dalla regola di san Benedetto.
La pazienza perserverante
Il primo criterio offerto dalla Regola si trova all’inizio del capito- lo 58 dove si legge quanto segue:
«Appena uno si presenta per intraprendere la vita monastica, non gli si conceda troppo facilmente l’ammissione, ma come dice l’Apostolo: “Mettete alla prova gli spiriti per vedere se sono da Dio”. Se dunque il nuovo venuto insiste a bussare, e sopporta con pazienza il rude trattamento e le difficoltà che si sollevano al suo ingresso, e dopo quattro o cinque giorni persiste nella sua richiesta, si acconsenta al suo ingresso e stia per qualche giorno nell’alloggio degli ospiti» (RB 58,1-4).
Si tratta di un discernimento preliminare per capire se il candi- dato è stato toccato dallo Spirito di Dio nella sua decisione di avvici- narsi al monastero.
Benedetto indica due elementi facili da verificare: la perseve- ranza e la pazienza. Il fattore tempo aiuterà a verificare questi due elementi. Se, a fronte di un periodo di qualche giorno, il candidato persevera nella sua richiesta e si mostra paziente davanti al ritardo con cui si reagisce, si potrà dire che lo Spirito di Dio l’ha condotto al monastero. Naturalmente, questo non significa che deve necessa- riamente abbracciare la vita monastica. La pazienza è la prima virtù che il candidato deve praticare. La pazienza - con se stessi e con gli altri – è un fattore prioritario della perseveranza nella vita monasti- ca. Senza pazienza non c’è comunione con le sofferenze pasquali di Cristo, né comunione profonda e misericordiosa con le deficienze dei fratelli della comunità (RB Prol. 50; 72,5).
Commento pastorale: Troppo spesso, condizionati dalla scarsi- tà di vocazioni, alcuni e alcune si precipitano nell’ammissione dei candidati, mettendo da parte questo criterio che viene menzionato da tutte le regole e che si trova generalmente attestato nella tradi- zione monastica. Per lo stesso motivo, spesso si evita di dire sin da subito al candidato quali sono le cose dure attraverso le quali si va a Dio (58,8).
La vera ricerca di Dio
Il secondo criterio benedettino suona in questi termini:
«Egli osservi con attenzione se il novizio veramente cerca Dio, se è pronto all’Opera di Dio, all’obbedienza e alle umiliazioni» (58,7).
La ricerca di Dio, in questo contesto, non rimanda alla ricerca di un Dio nascosto ma di un Dio da cui ci eravamo allontanati e verso il quale abbiamo deciso di ritornare: un Dio che ha preceduto la nostra ricerca di lui mettendosi per primo alla nostra ricerca (Prol. 2,14; 58, 8). Bisogna notare che Benedet- to raccomanda di «osservare». In altre parole, il discernimento proposto da Benedetto si attua attraverso la capacità di osservare attentamente. Il testo suggerisce che quanti sono chiamati a osser- vare sono l’insieme dei fratelli della comunità. Ciò che viene detto prima suppone che l’anzia- no (senior), capace di guadagnare le anime (il maestro dei novizi), sia particolarmente responsabile di questa osservazione… La cura particolare che caratterizza questa operazione viene compresa come un’attenta osservazione. Questa particolare attenzione si riferisce alla sua intensità e, soprattutto, alla sua durata. Ciò che non si può fare con l’accortezza e la perspicacia, viene fatto più facilmente col tempo. Il passare del tempo rivela i cuori. L’oggetto dell’attenta osservazione di cui stiamo parlando non è l’intenzione (invisibile) del candidato alla vita monastica, ma il suo comportamento (visibile) e questo in una triplice prospettiva : il dono di sé alla vita di preghiera, l’accettazione della volontà degli altri e tutto ciò che mette sotto i piedi l’orgoglio del candidato.
Bisogna notare che non basta dedicarsi alla preghiera, all’obbe- dienza e all’umiltà, ma impegnarsi in tutto questo con una capacità di accettazione generosa, fervente e piena di zelo buono.
- L’opera di Dio
Per quanto riguarda l’Opera di Dio è la preghiera a essere al primo posto. Benedetto è coerente con quanto afferma all’inizio della Regola :
«Per prima cosa, quando tu incominci a fare una qualsiasi opera buona, chiedi, insistendo molto nella preghiera, che sia egli stesso a portarla a termine…» (Prol. 4).
Per non dare adito ad equivoci ed essere chiari si afferma : «Non bisogna preferire nulla all’Opera di Dio» (43,3). Notiamo che l’Opus Dei si riferisce certo all’ufficio liturgico, ma sempre in relazione con lo sforzo costante di attenzione a Dio (cf. 19,1-2; 7,10ss).
Commento pastorale: Non si tratta soltanto di osservare la “domanda” del candidato per la sua partecipazione attiva e consa- pevole all’Opera di Dio… bisogna anche osservare la sua maniera di integrare ciò che i formatori propongono dal punto di vista della praxis: utilizzo dei libri di coro e il canto. Inoltre, lo studio: storia, teologia, struttura della Liturgia delle Ore. Senza dimenticare la mistagogia : la preghiera dei salmi, che lo spirito sia concorde con il cuore…
- L’obbedienza
L’obbedienza benedettina è una conseguenza della preghiera (cf. 6,2) per cui mantiene sempre un certo primato. Il primo grado dell’umiltà è l’obbedienza senza indugio (5,1).
Il dovere dell’obbedienza (fervore e zelo buono) comporta il fatto di obbedire non soltanto ai superiori, ma anche a tutti i fratel- li della comunità (72,6). Questo tipo di obbedienza viene vissuta rimanendo uniti a Cristo Gesù che ha detto: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato» (RB 7,32 citando Gv 6).
Commento pastorale: Non bisogna mai dimenticare che ci sono due tipi di obbedienza in relazione alla libertà :
- l’obbedienza per coercizione: ciò che spinge ad agire non è altro che la paura ;
- l’obbedienza per convinzione: ciò che spinge a muoversi è la propria scelta.
Nella prima forma di obbedienza, la libertà è condizionata dalla paura della punizione; nel secondo caso prevale invece il libero arbitrio (libertà fondata sulla ragione) e si identifica all’obbedienza volontaria di cui si parla in Perfectae Caritatis.
- Obprobia
Gli obprobria, di cui parla la Regola, se si consulta la possibi- le fonte basiliana del testo (Basilio, Regole, 6-7), si riferiscono alle occupazioni modeste e volgari che, nel mondo secolare, venivano considerate come servili.
San Benedetto si occupa dell’intera vita del candidato al fine di aiutare la crescita dell’umiltà attraverso alcune inevitabili umiliazioni (cf. 7,44-54). In questo modo il candidato alla vita monastica comincia a conformarsi a Gesù Cristo che si definisce mite e umile di cuore ed è venuto per servire e non per essere servito (Mt 11,29; Mc 10,45).
Commento pastorale: Non si tratta certo di essere umiliati volutamente e intenzionalmente, ma di accettare una vita di servizio e di semplicità.
- Conclusione
Benedetto è assai concreto: la ricerca di Dio si manifesta combat- tendo l’egoismo e l’orgoglio, poiché questi impediscono la comunio- ne con Gesù Cristo e con il prossimo.
Va pure notato che i tre criteri proposti dal Patriarca trovano una certa corrispondenza con la scala dell’umiltà. In effetti, il primo gradino dell’umiltà corrisponde alla relazione del monaco con Dio; i gradini 2 e 4 si riferiscono all’obbedienza ; i gradini da 5 a 8 indicano il modo in cui bisogna abbassarsi in riferimento alla vergogna o all’umiliazione.
Per motivi che non ci sono noti – letterari o pedagogici ? – Benedetto non menziona il silenzio come criterio di discernimento. Eppure, i gradini da 9 a 12 della scala dell’umiltà parlano del silenzio.
In sintesi, ciò che Benedetto propone può essere riformulato in due domande. La prima : il candidato alla vita monastica cerca di seguire e imitare il Cristo nella sua preghiera, nella sua obbedienza e nella sua abnegazione? Preghiera, obbedienza e umiltà sono messe al servizio di una vera ricerca di Dio?

L’osservanza della Regola
Il terzo criterio fondamentale consiste nel costante confronto con la Regola di vita della comunità.
San Benedetto dice che la Regola deve essere letta al candidato interamente per tre volte prima che questi pronunci la sua promessa finale. La capacità del candidato di osservare pazientemente ciò che la Regola prescrive è a sua volta un criterio di discernimento (58,9-16).
Commento pastorale: I comportamenti obbedienti e umili devono vivificare l’osservanza della Regola nel suo insieme, in quanto questa osservanza è una prova supplementare della ricerca di Dio. Oltre alla Regola di san Benedetto, il candidato deve conoscere il modo di vivere dell’Ordine così come viene codificato nelle Costituzioni e descritto nelle consuetudini della comunità.
Lo zelo buono
La richiesta che deve manifestare il candidato alla vita monasti- ca è intimamente legata allo zelo buono, caratteristico di chi decide di allontanarsi dai vizi e di dirigere i suoi passi verso Dio. Di conseguenza, il capitolo 72 della Regola sullo zelo buono, che si può anche indicare come amore pieno di fervore, offre dei criteri supplementari per verificare il dono della propria vita e la sua crescita nella vita divina.
In breve, i criteri per discernere lo zelo buono possono essere presentati nel modo seguente:
– rispettarsi reciprocamente (onore);
– sostenersi reciprocamente (pazienza);
– obbedirsi reciprocamente (obbedienza);
– rinunciare a se stessi, non al proprio vicino! (abnegazione- oblazione);
– amarsi (fraternità, sororità);
– temere Dio con amore (principio della saggezza);
– voler bene all’abate / con un sincero affetto (figliazione);
– nulla preferire al Figlio unico (cristocentrismo).
Commento pastorale: Un novizio che non arde, almeno qualche volta, di uno zelo appassionato anche se un po’ eccessivo, corre il rischio di diventare un professo solenne mediocre. La sapienza popolare potrebbe tradurre questo testo della Regola così: una scopa nuova scopa bene e un vecchio asino non «riesce più a trottare».
Conclusione
È chiaro come questi criteri, specialmente quello dello zelo buono, sono validi non solo per entrare nella vita monastica e la perseveranza, ma anche per il passaggio del monaco o della monaca alla vita eterna.
La dottrina del Patriarca, a motivo del suo fondamento evangelico, conserva tutto il suo valore. L’insegnamento di san Benedetto fin qui esposto deve essere accolto e tradotto in modo nuovo tenendo conto delle circostanze del mondo attuale.
Il modo in cui questi princìpi vengono incarnati può certamente cambiare e perfino arricchirsi.
[1] Intervento alla sessione dei formatori dell’ABECCA (2019).
La formazione dei benedettini e delle benedettine nella Corea del Sud
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Prospettive
Suor Marie-Enosh Cho, OSB
Priora di Busan (Corea del Sud)
La formazione dei benedettini e delle benedettine nella Corea del Sud
Una delle risposte, a seguito di un questionario sulla formazione monastica mandato dall’AIM in diverse regioni del mondo, riguardava la formazione nella Corea del Sud. Ci sembra interessante pubblicare tale e quale il contributo in questione, perché rende conto di una situazione in cui molti punti rispecchiano preoccupazioni e proposte anche di altri paesi del mondo.
I. Formazione iniziale in noviziato
Ogni congregazione gestisce il proprio programma di formazione. La formazione comprende la preghiera, lo studio, il lavoro, la vita comunitaria ; possono esserci seminari o laboratori destinati a una migliore comprensione della persona umana.
Tra l’ingresso in comunità e la prima professione trascorrono normalmente quattro anni per le donne (uno di aspirandato, uno di postulandato, due di noviziato) e da due a tre anni e mezzo per gli uomini.
Alcune congregazioni organizzano i corsi di teologia, spiritualità e catechismo di cui hanno bisogno per la formazione iniziale; altre inviano i loro membri in formazione all’istituto di teologia di altre congregazioni religiose o della diocesi. Durante il periodo di formazione, l’attenzione è rivolta alla vita di preghiera, all’educa- zione, all’esperienza della vita religiosa.
- Corsi di Sacra Scrittura, teologia dogmatica, liturgia, spiri- tualità, psicologia, dottrina sociale della Chiesa, Regola di san Benedetto, costituzioni, statuto e consuetudini della congregazione, ecologia, inglese, latino, musica liturgica, organo.
– Seminari riguardanti la comprensione di se stessi, le relazioni, la comunicazione.
– Una regolare direzione spirituale e, se necessario, un aiuto psicologico.
– Una breve esperienza di apostolato.
II- Juniorato
1- Durata
Donne: da cinque a sei anni.
Uomini: da tre a sette anni.

2- Contenuto della formazione
Per le donne:
– Direzione spirituale da parte della maestra delle professe temporanee: riunioni regolari e ritiri.
– Secondo noviziato di un anno prima dei voti perpetui: lavoro e studio, trenta giorni di esercizi spirituali ignaziani.
– Riunioni regolari per le giovani professe all’interno di ogni congregazione.